University of Toronto G8 Information Centre
Vertici G7/G8

La «Raison d'être» del G-7 Vista da Parigi

di Phillipe Moreau Defarges

Abbiamo riflettuto su come i vertici possano meglio focalizzare la nostra attenzione sui temi più significativi del momento. Noi apprezziamo l'attività dei vertici in quanto offrono l'opportunità di scambiare opinioni, creare consenso e approfondire l'intesa tra noi. Crediamo, però, che i vertici debbano avere un carattere meno cerimoniale, una partecipazione più ristretta di persone, e una minore produzione di documenti e dichiarazioni, e che più tempo debba essere dedicato alle discussioni informali tra noi, così che, insieme, possiamo affrontare meglio i principali temi di interesse comune. Intendiamo condurre i prossimi vertici in questo spirito Vertice di Tokio, Dichiarazione Economica, 9 luglio 1993, par. 16.>.

Questo saggio si propone di analizzare prima la posizione francese in merito ai vertici del G-7 e, poi, il tipo di riforma che la Francia potrebbe prendere in considerazione.

1. La visione francese dei vertici del G-7

Nel 1975, la Francia lanciò l'idea di organizzare delle riunioni annuali tra i capi di stato e di governo delle maggiori potenze economiche. Il primo vertice si svolse a Rambouillet (15-17 novembre). Due motivi mossero il presidente francese d'allora, Valéry Giscard d'Estaing, ad avanzare tale proposta: la prima ragione era molto classica. La gestione degli affari mondiali è monarchica e, insieme, tecnocratica. Così come, nel XIX secolo, il «concerto europeo» - a cui la Francia apparteneva - aveva la responsabilità dell'ordine europeo, era logico istituire, nell'ultimo quarto del XX secolo, un «concerto» economico mondiale. Nel 1975, un fattore determinante spinse verso questa formula: il crollo delle regole economiche e monetarie definite dagli accordi di Bretton Woods, dopo la svalutazione del dollaro (agosto 1971) ed il primo shock petrolifero (autunno 1973). La seconda ragione era di carattere più personale. Giscard d'Estaing aspirava ad essere un presidente moderno, cosciente dei mutamenti strutturali. Egli amava mettere in evidenza le tendenze verso la globalizzazione (mondialismo); ed era persino arrivato a sottolineare come, negli anni '70, la popolazione francese rappresentasse solo l'1% della popolazione mondiale: una posizione che peraltro non mancò di suscitare il vivo disaccordo di alcuni esponenti francesi! Ad ogni modo, per Giscard d'Estaing l'effettuazione di riunioni regolari dei leader delle maggiori potenze economiche poteva delineare un governo informale dell'economia mondiale.

François Mitterrand, eletto Presidente della Repubblica nel 1981, è un uomo molto diverso. È amante delle tradizioni e delle origini. È affascinato più dal passato che dal futuro. Per Mitterrand, che in effetti è una mente religiosa, la modernità non cambia e non può cambiare l'uomo. Infine, Mitterrand ha appreso l'economia da Jacques Attali, che poteva trasmettergli una visione meno noiosa di questa scienza.

Per Mitterrand che è profondamente sensibile ad ogni manifestazione di grandezza e di potere, i vertici del G-7 sono e certamente devono essere delle cerimonie. Quando, nel 1981 Mitterrand giunse al suo primo vertice del G-7 (a Montebello, 19-21 luglio), quest'uomo, che per decenni aveva lottato per conquistare la massima carica in Francia, scoprì probabilmente un nuovo mondo: lo strano e misterioso circolo delle persone più potenti della terra.

Mitterrand è un francese; tutti, o molti, dei suoi riferimenti sono profondamenti radicati nell'ambiente e nella letteratura francesi. Mitterrand è più interessato agli uomini, alle apparenze e ai rapporti sociali che all'agitato lavorio burocratico. Con il passare degli anni, egli ha visto l'invecchiarsi dei corpi, l'andare e venire delle facce. Forse il potere è un'illusione, ma un'illusione meravigliosa.

Ogni presidente francese, di destra o di sinistra, rimarrà fedele a questa linea. Ed il Primo Ministro, che talvolta ha un sogno presidenziale? Egli sa che i vertici del G-7 rientrano nell'orbita presidenziale.

1.1. Il non-dibattito francese sui vertici del G-7

Dopo il 1975, i vertici del G-7 non hanno più suscitato alcun dibattito importante in Francia; per loro natura essi sono di competenza del presidente, appartengono a questa misteriosa, suprema, sfera di potere. Ma come mai ci sono così poche controversie in merito ai vertici del G-7?

Un<%-2>iversità e studiosi. Finora le università e gli studiosi non si sono trovati a loro agio in questa zona grigia che sta a metà strada tra le classiche relazioni interstatali e le organizzazioni internazionali. In una certa misura, Raymond Aron, il «grande padre» delle relazioni internazionali, scrivendo nel periodo della Guerra Fredda, rimase fermo alla visione machiavellica (non cooperativa e non istituzionale) delle relazioni internazionaliL'unico libro in Francia che tratta dei vertici del G-7 è Le sommets économiques: les politiques nationales à l'heure de l'interdépendance di Georges de Ménil (Enjeux internationaux/Ifri, Parigi, 1983). Questo libro, però, era destinato ad una cerchia ristretta di studiosi.>.

Giornali. Eccetto che durante le riunioni del G-7, i giornali non appaiono molto interessati a questi vertici. Naturalmente, negli ultimi anni '70, alcuni giornali di sinistra o orientati a sinistra (soprattutto Le Monde Diplomatique, molto permeato di tesi terzomondiste e che gode di un'ampia diffusione) hanno buttato il G-7 e la Commissione Trilaterale nella stessa pattumiera. Ma, negli anni '90, questo genere di argomento è passato di moda. I principali organi di stampa - da Le Figaro a Liberation, da L'Express a Le Nouvel Observateur - sono molto scettici nei confronti del meccanismo del G-7: ogni vertice è sempre un «vertice eccellente».

Uomini politici.

In effetti, la nozione di domaine réservé, benché la formula appartenga all'era di De Gaulle, rimane ampiamente accettata dall'establishment politico. Per quanto riguarda i vertici del G-7, essi si sono sempre svolti nell'ambito di questo dominio presidenziale (come è stato confermato dal fallimento del Primo Ministro Jacques Chirac, quando è andato al vertice di Tokio nel 1986 e dall'assenza di Balladur a Tokio nel 1993).

1.2. Il club delle nazioni più ricche

I vertici del G-7 sono il luogo dove i capi di stato e di governo delle sette democrazie più ricche del mondo si incontrano regolarmente. È così, e per la Francia, deve continuare ad essere così.

Per la Francia la ragion d'essere del club esiste ancora. I sette partecipanti (a cui si aggiunge il presidente della Commissione dell'Unione Europea) rimangono i pilastri del sistema commerciale mondiale. Con le loro frontiere aperte essi sono i più coinvolti nelle fluttuazioni del mercato (beni, servizi, ma anche movimenti di capitale, valute).

Infine, questi paesi condividono valori comuni: i diritti umani, la democrazia, la fiducia nel dialogo e nel negoziato per gestire i conflitti.

Fu forse una convinzione francese a conferire una dimensione filosofica ai vertici: l'idea che le economie più avanzate potevano condividere i loro interrogativi, le loro riflessioni sul futuro. Durante il vertice di Versailles (5-6 giugno 1982), il presidente Mitterrand, ispirato da Attali, propose la costituzione di un gruppo di esperti sulle relazioni tra tecnologia, occupazione e crescita. Il vertice di Versailles fu davvero speciale. L'accoglienza fu regale, ma la Francia stava attraversando una crisi monetaria ed era terminata la festa socialista. Forse il futuro avrebbe offerto una via d'uscita. Ad ogni modo l'iniziativa francese fallì, l'indagine su «Tecnologia, occupazione e crescita» venne presto dimenticata.

Ciò significa che per la Francia i vertici del G-7 devono rimanere riunioni economiche. La Francia ha accettato con una certa riluttanza dibattiti politici (in particolare su temi riguardanti la sicurezza). Le ragioni di questa riluttanza sono ben note: 1) mantenere il ruolo specifico di ogni struttura, di ogni canale. Specialmente per i temi regionali o di sicurezza esistono numerosi fori, creati per assolvere a precise missioni (il Consiglio di Sicurezza delle NU, l'Alleanza Atlantica, la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa...). La Francia teme qualsiasi forma di manipolazione, che potrebbe costringerla a dire «sì» (questa preoccupazione è risultata evidente durante l'ultima fase dell'Uruguay Round); 2) preservare l'autonomia europea. La Francia è sempre stata diffidente verso ogni tendenza, ogni attitudine che potrebbe conferire alla struttura del G-7 una posizione di preminenza sulla Comunità Europea. Promuovendo i vertici del G-7, la Francia ha sostenuto un meccanismo occidentale. Questo meccanismo deve essere, perciò, mantenuto sul giusto binario: deve rimanere un luogo per il dialogo economico.

I vertici del G-7 si basano su due regole implicite - e forse contraddittorie - che li caratterizzano come riunione informale e giuridicamente non vincolante: 1) ogni partecipante deve e può mettere qualcosa nel «paniere» della dichiarazione finale; 2) ogni disaccordo esplicito viene escluso.

La dichiarazione finale riflette un consenso «morbido» (in francese: un consenso «mou»). La Francia ha accettato più o meno queste regole, almeno a partire dal vertice di Williamsburg (29-30 maggio 1983) in occasione del quale il presidente francese fu «sorpreso» di dover prendere una posizione in merito ad una bozza di dichiarazione americana su temi riguardanti la sicurezza.

Per la Francia, i vertici del G-7 non rappresentano i fori pertinenti per discutere circostanziati orientamenti politici. Non si può, comunque, ignorare il fatto che i vertici del G-7 sono una delle espressioni della «coscienza occidentale».

Per la Francia un club di nazioni ricche ha speciali responsabilità.

La Francia non ha mai abbandonato l'ambizione di agire come collegamento tra il Nord ed il Sud. Giscard d'Estaing, nel 1975-77, promosse un Dialogo Nord-Sud, subito abortito (Parigi: Conferenza sulla cooperazione economica internazionale). Mitterrand ritiene, per convinzione profondamente consolidata, che il denaro sia diabolico. L'equità non può derivare dai meccanismi di mercato ma richiede l'adozione di misure concrete. La prospettiva di un Nuovo Ordine Economico Internazionale è sparita quasi completamente a partire dai primi anni '80, ma ne esiste ancora una sorta di riverbero. Per la Francia ci sarà, ci deve essere, un ritorno alla dimensione Nord-Sud. Ad ogni modo uno degli slogan della politica francese sarà sempre: «La France est l'embêteuse du monde», Jean Giraudoux.

La Francia ritiene che i vertici del G-7 rappresentino il luogo adatto per avere colloqui informali, ad alto livello, sulle relazioni tra i ricchi e poveri.

Nel 1981, la Francia ha sostenuto il vertice Nord-Sud di Cancun (22-23 ottobre 1981). Nella visione francese - sia neogollista che socialista -, secondo cui i problemi vanno gestiti attraverso la politica, i vertici Nord-Sud potrebbero completare e bilanciare i vertici del G-7. Ma il vertice di Cancun non fu un successo. Il vento del libero mercato finì con la retorica terzomondista. Nel 1989 (vertice di Parigi, 14-16 luglio), la Francia, in piena celebrazione dell'anniversario del 1789, immaginò di dar vita a una sorta di nuovo vertice Nord-Sud, ma l'idea non piacque ai suoi partner.

La Francia crede, tuttavia, che ogni vertice debba discutere i principali temi del rapporto Nord-Sud: gli aiuti, il debito, i modelli di sviluppo, ecc. Ovviamente il Terzo Mondo degli anni '90 è diverso da quello degli anni '60, quando, per effetto del processo di decolonizzazione, appariva come un blocco unico. Negli anni '90, il fattore sviluppo ha determinato forti e crescenti divari tra i paesi del Sud. Fondamentali per la Francia sono i paesi dimenticati, quelli che hanno perso - o non sono in grado di prendere - il treno della crescita economica <%-3>-, in primo luogo i paesi africani. La Francia - chiunque sia il Presidente della Repubblica - non abbandonerà mai questo tema. Mitterrand coltiva forse il desiderio nascosto di impedire che il club sia un esercizio troppo comodo, troppo distante dalla povertà mondiale.

Più in generale, la Francia - in qualità di partecipante del G-7 - utilizza i vertici come cassa di risonanza delle sue preoccupazioni (ad esempio, la riforma del sistema monetario internazionale).

1.3. Concertazione, negoziazione, istituzionalizzazione

Nel suo approccio ai meccanismi internazionali, la Francia agisce come se tracciasse linee divisorie (e anche connessioni) tra la concertazione, la negoziazione e l'istituzionalizzazione.

Concertazione. Concertazione significa libero dialogo. Questo non implica conseguenze giuridicamente vincolanti. Né che, nel caso in cui questi colloqui debbano essere seguiti da decisioni pratiche, quest'ultime debbano essere definite o adottate attraverso specifici meccanismi di negoziato.

Per la tradizione francese, la concertazione costituisce un elemento fondamentale delle relazioni internazionali. La concertazione comporta che le persone possano parlare liberamente fra loro. Oggi, solo la cerchia più ristretta dei leader di alto livello possono trovarsi in una simile condizione. Ma questa libertà di dialogo deve essere protetta da almeno due elementi: segretezza e conversazioni non vincolanti. Ogni parola, ogni frase detta da personalità che detengono il potere è «impegnativa». La concertazione non deve, perciò, essere direttamente vincolante.

In ogni foro di concertazione, in particolare in quelli tra capi di stato e di governo, esiste un contrasto tra:

- l'esigenza di colloqui liberi ed informali. Uomini (e donne) di governo rimangono uomini e donne. Soprattutto in periodi di crisi, i colloqui tra personalità di pari livello sono un modo per affrontare i problemi, eliminare (talvolta aumentare) l'incertezza e l'ansietà, accertarsi che tutti condividono le stesse difficoltà;

- e la richiesta di conclusioni, attese da tutti coloro che sono esclusi dal sacro circolo. La tendenza «naturale» è di redigere conclusioni sempre più prolisse. È sempre comodo terminare le riunioni con documenti che possono essere presentati come storici...per uno o due giorni. Un documento di sostanza comporta dilemmi e scelte.

Nella visione francese, la concertazione pende verso un modello di conversazioni informali e personali. Ad ogni modo, i vertici del G-7 - profondamente condizionati dalla società dei media - sono sempre più inclini ad una logica dello spettacolo - come è risultato evidente ai vertici di Versailles (1982) e di Parigi (1989).

Ad ogni modo sembra che i vertici del G-7 mettano insieme due riunioni: i colloqui tra i capi di stato e di governo e i negoziati tra gli sherpa per mettere a punto le dichiarazioni finali.

Negoziazione. La negoziazione è un processo differente. Ogni negoziato si focalizza su qualche tipo di testo, riguardante decisioni giuridiche e/o pratiche. Da questo punto di vista, va mantenuta una distinzione tra:

- le questioni economiche e finanziarie. Tali questioni rappresentano la ragion d'essere del meccanismo del G-7. Le connessioni tra i capi di stato e di governo e le strutture burocratiche avvengono attraverso molti canali. Gli apparati dei ministeri del Tesoro ed in primo luogo i loro direttori sono elementi essenziali di collegamento per lo svolgimento dei vertici;

- e le questioni politiche. Tali questioni sono state aggiunte in seguito. Esistono molte altre strutture per realizzare la solidarietà politica (ad esempio, l'Alleanza Atlantica, la Cooperazione politica europea - diventata Politica estera e di sicurezza comune) e garantire gli equilibri politici (ad esempio, il Consiglio di Sicurezza, con i suoi membri permanenti).

Può la negoziazione rientrare nei compiti dei vertici del G-7? No, essa non è, e non può essere compito dei capi di stato e di governo (in particolare, il tempo disponibile è scarso - meno di dieci ore di discussioni utili; in ogni caso, la disponibilità di venti o trenta ore di seguito potrebbe forse migliorare il processo?). Gli sherpa - anche se di fatto essi negoziano - non sono e non possono essere negoziatori - nel senso stretto del termine - in quanto i colloqui perderebbero del tutto quella flessibilità che li caratterizza.

Questa tensione tra concertazione e negoziazione non è specifica dei vertici del G-7, ma è rinvenibile in ogni colloquio ad alto livello. Da questo punto di vista uno dei grandi vantaggi (che, ovviamente, è anche un handicap) dei vertici del G-7 deriva dal fatto che essi sono al di sopra e al di là, delle strutture burocratiche.

Istituzionalizzazione. Un paragone può essere fatto tra i vertici del G-7 ed il Consiglio Europeo. Quest'ultimo è una parte, un'istituzione di un'insieme più vasto (la Comunità Europea, diventata nel novembre 1993 Unione Europea). Il Consiglio Europeo ha luogo nell'ambito di un sistema politico, amministrativo e giuridico. Pertanto, il Consiglio Europeo oscilla tra la concertazione (sugli orientamenti politici, l'evoluzione generale del processo europeo) e la negoziazione (si tratta per lo più di questioni di bilancio: il «contributo» britannico; la programmazione finanziaria).

Ci si lamenta periodicamente che il Consiglio Europeo rimanga intrappolato in dibattiti tecnici. Ma nella Comunità Europea (o, oggi, Unione) non esiste una linea divisoria tra questioni «tecniche» e «politiche», né può essere fissata.

<M%-3>Per la Francia, i vertici del G-7 non possono e non devono essere un consiglio occidentale. Ai vertici del G-7 vengono messe in comune specifiche preoccupazioni; ciò non significa che si debba arrivare alla creazione di un sistema chiuso.

<M%-3>L'istituzionalizzazione dei vertici G-7 ripropone due questioni ben note:

@USCENTE = <M%-3>a) che cosa è l'identità «occidentale» (essendo il Giappone - almeno dagli anni '70 - uno dei tre pilastri di questa identità)?

<M%-3>Esiste una serie di valori comuni (diritti umani, democrazia, libero commercio...) ma, specialmente dopo la caduta della Cortina di Ferro ed il fallimento delle esperienze autarchiche, questi valori tendono ad accomunare le democrazie occidentali e i paesi ex-comunisti, il Nord e il Sud.

A partire dagli ultimi anni '40, infatti, il consolidamento dell'identità occidentale si è realizzata contro un nemico, anzi il Nemico: l'Unione Sovietica.

Per quanto riguarda l'economia, la comunità occidentale è una comunità conflittuale. Tre dinamiche cospirano nel ridefinire (o più probabilmente indebolire) questa identità economica occidentale: la concorrenza tra i suoi membri; la regionalizzazione attorno a tre poli (Europa, America del Nord, Asia del Pacifico); la concorrenza dall'esterno, che può contribuire ad esacerbare le tensioni interne o forse produrre una nuova unità. Le istituzioni non possono essere astratte dalla realtà. Il G-7 è il club delle nazioni più ricche, in un momento in cui la ricchezza delle nazioni è in mutamento.

@USCENTE = b) È possibile creare un direttorio occidentale istituzionalizzato, con un ruolo economico globale, che vada oltre i vertici del G-7?

Al mutare della ricchezza delle nazioni, è mutato anche - sia pure con ritardo -il problema della legittimazione. Dal 1975 fino alla fine degli anni '80, il club delle nazioni più ricche poggiava su due fattori: il mondo comunista, che non era inserito nei circuiti economici (materie prime e debiti erano inserite in connessioni limitate); la maggior parte del Terzo Mondo era fuori dal sistema economico o rimaneva passivo di fronte ad esso.

<M%-3>Quale potrebbe essere il significato storico della istituzionalizzazione?

@TESTATINA 1 = 2. La Francia e la modifica dei vertici del G-7

La natura e la collocazione dei vertici del G-7 non devono essere dimenticate. Essi sono solo una componente di una rete gigantesca di organismi politici, monetari e finanziari che a volte addirittura si sovrappongono.

I vertici del G-7 rappresentano un momento di incontro per sette capi di stato e di governo, più il presidente della Commissione dell'Unione Europea. Ovviamente questi vertici offrono a questi uomini e donne un'eccezionale opportunità per svolgere colloqui in libertà. Ma i vertici del G-7 sono solo uno dei tanti canali.

Un'altra dimensione deriva dall'interazione dinamica tra logiche politiche e amministrative. I capi di stato e di governo assumono orientamenti, talora anche decisioni. Questi orientamenti e queste decisioni emergono da lunghe e complicate discussioni tecniche; una volta adottati, essi vengono di nuovo trasmessi ai canali amministrativi. Un poeta francese, Jean Cocteau<%-4> ha scritto: «Feignons d'organiser ces mystères qui nos dépassent».

Ad ogni modo, i capi di stato o di governo che partecipano ai vertici del G-7 si trovano di fronte ad un dilemma quando accettano conclusioni troppo vincolanti: metterle in pratica, correndo così il rischio di venire severamente criticati per essersi lasciati condizionare dall'atmosfera della riunione, o dimenticarle. Un esempio di questo dilemma è offerto dall'atteggiamento della Germania, negli ultimi anni '70, di fronte alla teoria della locomotiva.

2.1. Preparazione

La preparazione dei vertici è condotta da un gruppo molto ristretto di persone: gli sherpa e i funzionari di alto livello (direttori dei ministeri del Tesoro, e diplomatici di alto rango). Tale preparazione si basa su un equilibrio molto delicato: contatti personali, contatti giornalieri via telefono e via fax, riunioni regolari.

Come modificare questo processo? Se diventasse più formale, più burocratico, ciò significherebbe che gli stessi vertici stanno assumendo un carattere più istituzionale.

2.2. Frequenza dei vertici

È chiaro che i vertici del G-7 non possono svolgersi più di una volta all'anno. Devono essere meno frequenti? Un vertice ogni anno e mezzo o ogni due anni?

Ovviamente, la riduzione della frequenza dei vertici verrebbe considerata una sconfitta della solidarietà occidentale. E, poi, la cadenza annuale è così semplice.

2.3. Partecipazione

Un simile club non può escludere nessuno dei suoi attuali partecipanti. I vertici del G-7 si basano sulla fiducia reciproca, sul consenso, e - in effetti - su un equilibrio molto formale.

Inoltre, i vertici del G-7 materializzano la versione più ampia della comunità occidentale, con tre pilastri (Europa occidentale, America del Nord, Giappone), laddove le altre istituzioni occidentali esprimono la solidarietà euro-americana.

Oggi il dibattito sull'allargamento del club è limitato alla Russia. Nel luglio del 1991, al vertice di Londra, Michail Gorbaciov ha chiesto di essere ospitato. I sette capi di stato e di governo hanno dato una risposta positiva. Dopo il collasso dell'Unione Sovietica, il presidente della Russia, Boris Eltsin, è diventato un ospite permanente e di primo piano dei vertici del G-7. Da quel momento i vertici hanno adempiuto all'importante ruolo politico di osservare ed aiutare il processo di transizione verso l'economia di mercato e la democrazia in atto in Russia.

Questa partecipazione russa - che ha luogo subito dopo il vertice del G-7 - ha un chiaro significato politico: la Russia viene ospitata in considerazione delle sue dimensioni, del suo peso e, forse, del suo scomodo ruolo.

Questa presenza russa potrebbe un giorno sollevare una questione di principio: quale risposta dovrebbe essere data alla Cina se prenderà la strada della democrazia e chiederà di aderire al club?

In futuro, i vertici del G-7 non potranno evitare il contrasto tra il loro attuale ruolo di club di nazioni ricche e le trasformazioni economiche mondiali.

2.4. Organizzazione delle riunioni

Le riunioni dei vertici del G-7 sollevano tre questioni.

Presenza dei Mass-Media. Ai vertici del G-7 sono presenti migliaia di giornalisti. Da un lato, questo fatto può essere considerato una seccatura, che complica le misure di sicurezza e i controlli, e che spinge all'assunzione di decisioni «storiche» e concrete alla fine di ogni vertice. Dall'altro, la riunione dei leader delle nazioni più ricche è e deve essere un evento. Il rischio reale non sono, forse, le riunioni sovraffollate ma quelle deserte. Ad ogni modo, una ridotta partecipazione dei media sarebbe probabilmente effetto non tanto di decisioni burocratiche ma di un mutato atteggiamento degli stessi media.

Dimensione sociale. Soprattutto quando i paesi sviluppati attraversano periodi difficili sarebbe logico avere vertici meno fastosi. Ma queste riunioni sono anche cerimonia.

Deve essere mantenuto un equilibrio tra riunioni di lavoro e ricevimenti. Anche qui, la risposta non può venire da decisioni amministrative e collettive. Questo compito spetta al paese ospite, e non è facile perché ogni vero ospite vuole risultare il più cortese.

Colloqui formali ed informali. Dal punto di vista francese, i vertici del G-7 rappresentano innanzitutto un'opportunità per allacciare contatti personali. Ciò comporta lo svolgimento di riunioni ufficiali brevi, lasciando il tempo necessario alle conversazioni in libertà. Questo significa che deve essere favorito tutto ciò che può facilitare gli scambi informali.

Forse anche gli sherpa e i funzionari dovrebbero avere più tempo per simili contatti, invece di scrivere e riscrivere le dichiarazioni finali<%-3>.

2.5. Dichiarazioni finali

Le dichiarazioni finali somigliano agli inventari di Jacques Prevert o alle liste di Jorge Luis Borges: ci si può trovare dentro il mondo intero.

Ovviamente le dichiarazioni dovrebbero essere più brevi, e concentrarsi su alcuni punti chiave. Ma la brevità delle dichiarazioni comporta anche che esse vadano lette con maggiore attenzione e abbiano un contenuto più vincolante.

Le dichiarazioni avranno certamente maggiore forza se conterranno alcuni impegni effettivi (specialmente verso i paesi sottosviluppati). Ma, come detto sopra, il presidente ed il governo francesi dovrebbero rimanere fedeli alla loro tradizionale riluttanza verso ogni miscuglio di conclusioni vincolanti e non vincolanti.

Si potrebbe inoltre considerare la possibilità di distinguere tra paragrafi «dichiarativi» e paragrafi «giuridicamente vincolanti». Ma quanto è realistica questa formula?

2.6. Il seguito dei vertici

In realtà la preparazione del vertice e il suo seguito rientrano in un unico processo. L'attuazione del vertice appena finito coincide infatti con la preparazione del vertice successivo. Dal punto di vista francese devono essere mantenuti l'informalità, i contatti giornalieri, gli scambi non burocratici.

I vertici del G-7 hanno avuto origine in un periodo preciso: gli anni '70. Da un lato, le regole che erano state stabilite dopo la Seconda Guerra Mondiale erano in una profonda crisi (fluttuazione delle monete invece di cambi fissi), ma la filosofia che le ispirava - il liberalismo istituzionalizzato - ancora resisteva. Dall'altro, il mondo non occidentale stava mostrando una certa forza (shock petroliferi), ma continuava a rimanere ai margini dei mercati mondiali. I vertici del G-7 sono stati il tentativo di gestire questa situazione in movimento attraverso una concertazione tra le democrazie più ricche basata su regole flessibili.

Negli anni '90 il paesaggio internazionale è piuttosto cambiato. Sta emergendo una vera competizione mondiale. La grande banchina di ghiaccio comunista si è sciolta. Sopravvivono ancora piccoli iceberg (la Corea del Nord, Cuba). Il Terzo Mondo si è spaccato: alcuni paesi hanno cominciato a partecipare alla competizione economica; altri sono rimasti indietro. Nuove problematiche - per lo più globali - stanno prendendo forma: l'ambiente, la salute (l'Aids rappresenta l'esempio più significativo), la politica nucleare, il commercio di ogni tipo (dai beni alla droga, dalle armi alle informazioni).

I vertici del G-7 possono mantenere la loro attuale forma. Ma con il passare degli anni, si approfondirà il divario tra l'apparenza e la realtà. Come nella famosa favola, il re sarà nudo!

Si possono prevedere molti aggiustamenti: procedure più elaborate, canali più sofisticati, differenti tipi di discussione, dichiarazioni più brevi - o più lunghe - e, aspetto più importante, il partenariato con paesi terzi. Ma la dichiarazione del vertice di Tokio rimane nell'ambito della struttura attuale.


Source: Guido Garavoglia and Cesare Merlini, eds. Il Vertice dei Sette: ruolo e prospettive del G-7 nel mutato scenario internazionale Lo Spettatore Internazionale. Milano: Franco Angeli, 1994. Copyright ©, Istituto Affari Internazionali. Reproduced by permission of the Istituto Affari Internazionali.



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